“Il…comma 3-quater dell’art. 32, così come il precedente comma 3-ter, sono da leggere in correlazione alla necessità (da sempre viva in siffatto specifico ambito risarcitorio), predicata dagli artt. 138 e 139 cod. ass. (che, a tal riguardo, hanno recepito quanto già presente nel “diritto vivente”), che il danno biologico sia “suscettibile di accertamento medico-legale”, esplicando entrambe le norme (senza differenze sostanziali tra loro) i criteri scientifici di accertamento e valutazione del danno biologico tipici della medicina-legale (ossia il visivo-clinico-strumentale, non gerarchicamente ordinati tra loro, né unitariamente intesi, ma da utilizzarsi secondo le leges artis), siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti).”
Un testo che non lascia dubbi, e non può essere frainteso nemmeno leggendolo alla luce del caso di specie, che riguardava il risarcimento di una sola invalidità temporanea. Infatti l’espressione “siccome conducenti ad una “obiettività” dell’accertamento stesso, che riguardi sia le lesioni, che i relativi postumi (se esistenti).” si riferisce con chiarezza anche al danno permanente. Tanto è vero che di seguito (poche righe dopo) l’estensore, dopo aver spiegato che si tratta di una decisione che il caso di specie riguarda il danno temporaneo, si premura di precisare “ha escluso la risarcibilità del danno biologico temporaneo (quale unica pretesa azionata dall’attrice). Lasciando chiaramente intendere che se l’attrice avesse chiesto il danno biologico permanente sarebbe stato dovuto anche quello.
La sentenza deve quindi essere interpretata per quello che è, ovvero una sonora smentita delle tesi assicurative riduzionistiche ed un ripristino della funzione del medico legale, a cui viene restituito il ruolo di unico arbitro della valutazione del danno senza assurde intromissioni legislative.